domenica 22 gennaio 2012

Raggio laser per curare l'herpes

Tra le pagine di questo blog ho già parlato di herpes e di quali possano essere i metodi di cura, ma da qualche giorno in tv passa una pubblicità che ha attirato il mio interesse.
Intanto facciamo un breve riassunto su che cosa è l'herpes e quali siano le cause di comparsa.
L’herpes labiale è un’infezione delle labbra, bocca o gengive da virus herpes simplex. Esso porta allo sviluppo di piccole vescicole dolorose. 
L’herpes labiale è una malattia comune causata da un’infezione della zona orale con virus herpes simplex di tipo 1. L’infezione iniziale può non causare sintomi o ulcere della bocca. Il virus rimane dormiente nel tessuto nervoso del viso. In alcune persone, il virus si riattiva e produce ricorrenti herpes labiali di solito sempre nella stessa area, anche se non sono gravi.
L’herpes virus di tipo 2, che di solito provoca l’herpes genitale, può infettare i bambini durante la nascita da madri infette, può anche causare l’herpes labiale. Gli herpes virus sono contagiosi. La diffusione può avvenire attraverso il contatto intimo diretto, o attraverso il contatto con rasoi infetti, asciugamani, stoviglie e altri oggetti condivisi. Occasionalmente può diffondersi per contatto genitale in via orale.
Il primo episodio può essere lieve o grave. Di solito si verifica nei bambini tra 1 e 5 anni. I primi sintomi compaiono solitamente entro 1 o 2 settimane, e fino a 3 settimane, dopo il contatto con il virus. Il primo episodio può durare 2-3 settimane. Le lesioni possono essere sulle gengive, bocca, gola, o sul viso. Gli episodi successivi sono di solito più lievi.
La condizione può essere scatenata da mestruazioni, esposizione al sole, febbre, stress o altre cause sconosciute. I sintomi di prurito, bruciore, aumento della sensibilità o formicolio si possono verificare circa 2 giorni prima che le lesioni appaiano.
Diverse piccole vescicole possono fondersi per formare una bolla più grande.
La diagnosi viene effettuata sulla base della comparsa o l’analisi della lesione. 
CURE:  Fino ad oggi chi era affetto da herpes simplex poteva contare o sui rimedi della nonna: miele, vitamina C, o sulla famosa pomatina a base di Aciclovir.
Ma solitamente dalla comparsa dei primi sintomi, (vedi prurito) si doveva aspettare la comparsa delle prime vescicole per poter agire. Ma da oggi sul mercato farmaceutico è spuntato un attrezzo che promette di sconfiggere l'herpes in metà del tempo.
Ora, io non so quanto tempo duri l'herpes in genere, ma per mia esperienza personale, da persona affetta da questa "piaga" io posso dire che in una settimana va tutto via, cicatrici comprese... (e questo quando l'herpes decide di venire con altri 2, 3 amichetti! Perchè di solito il mio herpes non ha mai quell'aspetto che fanno vedere in tv che con un cerottino sparisce, per me ce ne vorrebbe una confezione intera per coprirli!)
Ora sul mercato è spuntato un dispositivo elettronico per il trattamento dell’herpes labiale. Questo dispositivo elettronico  per il trattamento dell’Herpes , utilizza un invisibile raggio infrarossi per intensificare la risposta immunitaria locale contro il virus dell’herpes.
Il trattamento luminoso riduce la durata dell’attacco e accelera il tempo di guarigione, da 8 a 4 giorni con un costo di circa 40 euro.

Si inizia ad utilizzare il Dispositivo Elettronico per l’herpes non appena iniziano i primi sintomi (fase di prurito ) e si deve ripetere il trattamento  12 ore piu’ tardi . Per attacchi di herpes piu’ persistenti utilizzare il Dispositivo 2 volte al giorno per i tre giorni successivi. Il trattamento puo’ anche essere ripetuto piu’ frequentemente senza alcun effetto avverso.
Ma, ahimè, Il dispositivo è ad esclusivo uso personale. Non deve essere condiviso nemmeno tra i membri della stessa famiglia.
Quindi se, mettiamo caso, all'interno della stessa famiglia 2 persone soffrono di herpes, non potranno utilizzare lo stesso dispositivo ma dovranno comprarne 2 per una spesa pari ad 80 euro circa. Per utilizzarlo all'incirca 3 volte l'anno. Ma con 80 euro quante pomatine si possono comprare? Conviene una spesa così eccessiva solo per 4 giorni (promettono) di herpes in meno?
Sinceramente io non lo comprerò. Anzi forse mi iscriverò ad un corso di Yoga cosi magari imparerò a controllare lo stress e a contrastare l'herpes da dentro...



                                                                                                             Fonti: Capraro Rosalba

venerdì 20 gennaio 2012

Pipì a letto: si risolve con l’asportazione delle tonsille o delle adenoidi!

Uno dei problemi principali che disturbano il sonno dei nostri bambini sono le apnee notturne! Il piccolo durante il sonno va in apnea, respira male e di conseguenza dorme anche male e molto spesso di notte di sveglia! Ma, nella maggior parte dei casi, i bambini che soffrono di questo disturbo sono bambini che hanno problemi con le tonsille o le adenoidi!
Dunque secondo i ricercatori del Children’s Hospital of Michigan di Detroit, sarebbe sufficiente rimuovere tonsille o adenoidi, per risolvere il problema anche se l’associazione tra apnea ostruttiva del sonno e enuresi notturna non è del tutto chiara e si pensa possano centrare i cambiamenti ormonali. Lo studio è stato condotto osservando 417 bambini e ragazzi tra i 5 e i 18 anni che soffrivano di apnee durante il sonno e allo stesso tempo di enuresi e sembra che la metà di questi bambini hanno smesso di bagnare il letto dopo essere stati sottoposti a tonsillectomia e adenoidectomia.
Naturalmente le cause dell’enuresi notturna possono essere diverse e non sempre può dipendere dai problemi di sonno. Dunque è sempre bene far visitare il piccolo da uno specialista prima di ricorrere all’esportazione di tonsille ed adenoidi con la speranza di risolvere il problema.


                                                                         Fonti: (http://nanna.blogmamma.it)

Chi dorme da solo dorme peggio

Lo indica uno studio americano. Il rimedio? Il caldo «abbraccio» di un bagno caldo

Le migliori dormite le facciamo quando non ci sentiamo soli, esclusi o isolati dagli altri e se abbiamo al nostro fianco un compagno o una compagna di vita. Quando invece ci sembra di essere esclusi dal contesto sociale la nostra solitudine esistenziale ci segue anche nel sonno che inizia a frammentarsi con frequenti risvegli notturni anche se apparentemente dormiamo lo stesso numero di ore e ci sembra di aver trascorso tutta la notte fra le braccia di Morfeo.
L’ha verificato uno studio dell’Università di Chicago pubblicato su SLEEP che ha esaminato una comunità chiusa come quella agricola degli anabattisti Hutteriti del Sud Dakota. 95 persone con età media di 39,8 anni (55% erano donne) sono state prima valutate con test psicologici sui loro livelli di solitudine percepita, depressione, ansia e stress, nonché sulla qualità di sonno soggettiva. Poi per una settimana il loro sonno è stato controllato tramite un actigrafo da polso, una sorta di mini-holter polisomnografico portatile.
Dopo aver depurato gli altri fattori confondenti (età, sesso, peso, eventuale apnea morfeica, elevati livelli di depressione, ansia e stress) l’unico parametro risultato significativamente importante è risultato essere la solitudine percepita, la quale peraltro non influenza la durata totale del sonno né la sua percezione soggettiva. Gli autori hanno fornito una spiegazione evoluzionistica al fenomeno: per sopravvivere l’uomo ha dovuto fare affidamento al cordone di sicurezza della sua comunità. Sentirsi soli fa percepire la mancanza di questo senso di protezione sociale e per contrastare il senso di vulnerabilità che ne deriva attiviamo i nostri sistemi d’allerta che non ci fanno più dormire sonni tranquilli. Accade un po’ la stessa cosa ad esempio nella coppia dove la moglie dorme meglio se il marito non è fuori casa per lavoro o ai bambini che si addormentano subito solo fra le braccia protettive della madre.
Un altro studio della Yale University pubblicato su Emotion dimostra che un buon metodo per compensare il senso di solitudine è fare un bagno caldo, perché il calore e il senso di sicurezza hanno per noi un inconscio legame ancestrale, probabilmente rievocato dal caldo abbraccio della mamma o del marito.
 
                                                                            Fonte:(www.corriere.it)

giovedì 19 gennaio 2012

Herbalife: gravi danni epatici!

Articolo tratto integralmente dal “Corriere Medico” del 29.1.2009.  
Riemerge l’allarme danni epatici da supplementi nutrizionali non controllati e assunti senza supervisione medica.
Lo rilancia il J. of Hepatology (50, 2009: 111-117), con un articolo a prima firma di Felix Stickel, Istituto di farmacologia clinica, Università di Berna, pubblicando la segnalazione di due casi di epatopatia grave (un’epatite colestatica e una cirrosi), successive a prolungato consumo di prodotti a marchio Herbalife. Un’associazione ritenuta probabile, in base a criteri internazionalmente validati e dopo che, com’è corretto, è stata esclusa ogni altra possibile causa: virale, alcolica, metabolica, autoimmune, neoplastica, vascolare epatica, iatrogena per assunzione di farmaci di sintesi.
Nei due casi emersi a Berna è stata messa in luce la contaminazione da parte del Bacillus Subtilis in vari preparati Herbalife, consumati da un uomo di 78 anni nei tre anni precedenti e da una donna di 50 anni per un anno. Nello specifico, l’indagine microbiologica ha rilevato la contaminazione di due dei 7 prodotti ingeriti dalla donna e dell’unico prodotto assunto dall’uomo, oltre alla contaminazione di un altro preparato, ancora sigillato
Primi allarmi nel 2002
La segnalazione bernese è solo la più recente di una serie, che ha coinvolto nel tempo (nel 2002, 2005, 2007) prodotti (Lipokinetic, Hydroxycut) contenenti efedrina e tè verde e, successivamente, proprio Herbalife. Va detto che proprio Herbalife, nonostante ripetute richieste, non ha mai reso pubbliche le composizioni dei suoi vari prodotti.
Poichè si tratta, come per le altre marche citate, di supplementi nutrizionali, non esiste obbligo di controllo di efficacia nè tantomeno di sicurezza, come è richiesto per i farmaci. Aggravante è l’invito all’assunzione prolungata, comune tra tutti i produttori, come garanzia di effetti benefici.
Già nel 2007, peraltro, il J. of Hepatology (47; 514-520 e 521-526) aveva pubblicato due lavori che coinvolgevano Herbalife. Il primo, a firma di epatologi, internisti e patologi dell’Università Hadassah-Hebrew di Gerusalemme, riportava i risultati di un’indagine del locale ministero della Salute su 12 soggetti con lesioni epatiche acute di varia natura, associabili al consumo di prodotti della linea. Secondo i criteri Oms, l’associazione con il consumo di prodotti Herbalife era certa in tre di questi casi, probabile per sei e possibile per i restanti tre. Di questi ultimi, una donna di 33 anni era deceduta per epatite fulminante, nonostante un trapianto di fegato in emergenza, probabilmente per l’aggravante di una precedente infezione da virus dell’epatite B. Certa invece la correlazione per una 55enne diabetica e iperlipidemica, per una 48enne ipertesa e per una 78enne psoriasica e diabetica: infatti, dopo sospensione di Herbalife e una prima normalizzazione delle ALT, le tre donne avevano ripreso ad assumere questi prodotti (senza farne menzione ai medici) con una rapida e massiccia ricaduta della malattia epatica.
Il secondo lavoro, a firma di gastroenterologi, internisti, patologi e farmacologi dell’Università di Berna, riguardava altri 10 casi di associazione tra epatopatia severa ed Herbalife, di cui due certi (una 30enne sana di base e una 63enne ipertesa), sette probabili (tra cui un 41enne senza comorbilità precedenti,costretto al trapianto di fegato) e uno possibile. Nel 2008, infine, ecco una lettera (J. of Hepatology, 49; 289-290), a firma questa volta dei responsabili del centro di farmacovigilanza delle Asturie, che riportava quattro casi di epatotossicità risalenti al 2005 e al 2006, dopo assunzioni di prodotti Herbalife anche per un solo mese.
Consumo fideistico
Gli editoriali di commento sottolineano alcuni obblighi ineludibili: il primo,conoscere nel dettaglio la composizione di queste preparazioni; il secondo, l’altrettanto necessaria analisi microbiologica e chimica, per rilevare contaminanti eventuali, correlabili a lesioni epatiche.
Ci si chiede anche come mai le segnalazioni più numerose emergano soltanto in Svizzera e in Israele. Le ipotesi sono due: una distribuzione locale di lotti contaminati, oppure, considerando anche la corrispondenza spagnola, una sottosegnalazione (più probabile) nelle altre 58 nazioni del mondo in cui viene venduta Herbalife.
A proposito dei casi di epatotossicità da prodotti erboristici, segnalati in questi anni recenti dal J. of Hepatology, Leonard B. Seeff, del National Institutes of Health di Bethesda, sottolinea correttamente: “A fronte di una crescita esponenziale dell’uso di preparazioni riconducibili alla medicina alternativa e complementare,bisogna sfatare nel pubblico la convinzione che l’uso di un prodotto a base di erbe sia più sicuro rispetto al farmaco tradizionale. Entrambi, infatti, non sono esenti da effetti collaterali, inclusa l’epatotossicità. Aggrava la situazione il fatto che la diffusione dei prodotti erboristici in genere avviene per passaparola, attraverso una massiccia pubblicità e via Internet, in assenza di obbligo, stabilito per legge, di un controllo sanitario.
Inoltre, spesso queste preparazioni sono a base di miscele non specificate, neppure dopo reiterate richieste ai produttori; aumenta così il rischio di contaminazione, chimica (piombo, mercurio, arsenico), o microbiologica (batteri, funghi).Infine, non si può scartare l’ipotesi che, in alcuni dei casi segnalati, sia entrato in gioco un meccanismo autoimmune. Occorre trovare un biomarker affidabile, che permetta di correlare l’evento epatotossicità ad uno specifico prodotto. In attesa è indispensabile fare pressione sulle autorità competenti e sul pubblico. Le prime perchè facciano in modo che, di questi “prodotti naturali”, si conosca tutto: dalla composizione, all’effettiva efficacia, alla sicurezza; il secondo perchè capisca che “prodotto erboristico” non è sinonimo di “prodotto più sicuro”; rispetto ai farmaci convenzionali.


martedì 10 gennaio 2012

Musica dannosa!

Nuovi studi confermano che la musica ascoltata con gli auricolari è dannosa quanto il lavoro in fabbrica

Da sempre i medici si preoccupano in modo attento delle condizioni di salute sul posto di lavoro, analizzando, giustamente, diversi fattori, dalla qualità dell'aria a quella della luce fino a giungere alle fonti di rumore. Un dato molto meno studiato, perché legato invece al divertimento, è quello riguardante i danni subiti dall'udito durante l'ascolto di musica tramite auricolari in-ear. Ultimamente studi congiunti hanno portato alla verifica che una musica troppo elevata causa danni permanenti. Se l'allarme era stato lanciato già nel 2006, con la messa in atto di disposizioni più severe riguardanti i produttori di lettori Mp3, è con lo studio delle Università del Michigan e della California - che hanno continuato quello intrapreso dal Professor Peter Rabinowitz, della Yale University School of Medicine - che si trovano le allarmanti conferme.

Un dato che ha preoccupato i medici è che sono soprattutto i giovanissimi a subire i danni di un ascolto ad alto volume, tanto che in loro sono stati riscontrati problemi di solito riguardanti persone di oltre 50 anni. Essenzialmente un ascolto prolungato di musica ad alto volume è equiparabile a quello di macchinari utilizzati per la demolizione o costruzione di abitazioni, durante i quali, infatti, è obbligatorio l'utilizzo di cuffie protettive. Non sono da sottovalutare i rischi, che vanno dallo stress alla difficoltà a prendere sonno, arrivando anche a scatenare problemi cardiaci, tanto che la frase "to be played at maximum volume" che campeggiava sull'album di David Bowie,The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, oggi sarebbe da considerare se non illegale di certo eticamente scorretta. 



                                                               Fonte: (www.fastweb.it)

Addio paracetamolo!

Scoperto il meccanismo d'azione dell'antidolorifico, presto si avranno molecole che non risultino tossiche per l'organismo

È dal 1949 che il paracetamolo è utilizzato come il principale farmaco contro il dolore, diventando nel corso degli anni un alleato fondamentale per molte persone. Eppure il rischio di tossicità, legato soprattutto al sovradosaggio, ha portato la ricerca scientifica ad analizzarne il funzionamento, in modo da trovare una valida alternativa. Un team di studiosi, composto da ricercatori francesi, svedesi ed inglesi ha pubblicato un interessante studio sulla rivista specializzata Nature Communications, rivelando l'importanza della proteina Trpa1 - già noto come recettore del dolore per eccellenza - (Transient receptor potential cation channel, sottofamiglia A, membro 1), presente sulla superficie delle cellule nervose. In essa si è individuata la componente necessaria perché il paracetamolo risulti efficace.

Una volta capito il meccanismo del farmaco l'obiettivo è quello di trovare un sostituto che non abbia lo stesso tipo di controindicazioni, ma che risulti efficace esattamente nello stesso modo, agendo sulla Trpa1. Lo studio ha portato anche alla scoperta che l'assunzione del paracetamolo stimola la creazione del NAPQI (N-acetyl-p-benzoquinone imine), un elemento tossico di solito prodotto in piccole quantità e subito ripulito dal fegato, ma che, in caso di sovradosaggio, può provocare gravi danni al fegato con effetti che risultano evidenti tre o quattro giorni dopo l'assunzione del farmaco. La strada è ancora lunga ma la volontà è quella di percorrerla in modo da trovare medicinali sempre meno rischiosi per la nostra salute.



                                                                       Fonti: (http://www.fastweb.it)

lunedì 9 gennaio 2012

Sbadiglio: tutta noia?

Uno sbadiglio è un riflesso di una profonda inalazione ed espirazione del respiro. 
Lo sbadiglio spontaneo è un comportamento molto antico, ampiamente presente nei vertebrati, dai pesci all'uomo. A seconda del gruppo animale nel quale lo si ritrova, incluso l'uomo, lo sbadiglio può essere associato a stanchezza, stress, noia, fame.
Le esatte cause che provocano uno sbadiglio non sono state completamente chiarite. Alcuni studiosi sostengono che sbadigliare non può essere causato da una mancanza di ossigeno, come ipotizzato da altri, semplicemente perché l'atto dello sbadiglio in sé riduce sensibilmente la quantità di ossigeno immessa nei polmoni tramite il normale processo respiratorio .
Lo sbadiglio negli umani è contagioso; questo significa che, in generale, è più probabile che una persona sbadigli dopo aver percepito (con la vista, l'udito, o entrambi i sensi) lo sbadiglio emesso da un'altra persona. La frequenza di contagio varia durante il giorno, con un picco a mattina presto e in tarda serata. Un recente studio condotto da Ivan Norscia ed Elisabetta Palagi (Università di Pisa) ha fornito la prima evidenza comportamentale che il contagio dello sbadiglio è associato al legame empatico tra le persone. Lo studio ha dimostrato che il contagio segue lo stesso gradiente dell'empatia: è massimo nei parenti stretti (genitori/figli/nipoti, fratelli, coppie stabili), decresce negli amici, poi nei conoscenti (persone legate solo da un terzo elemento esterno, cioè il lavoro o un amico in comune) e raggiunge il minimo negli sconosciuti
Lo studio rivela che anche la risposta allo sbadiglio (misurata in termini di tempo di latenza) è più rapida tra parenti stretti, amanti e amici. Vari studi di tipo clinico, psicologico e neurobiologico suggeriscono e supportano il legame tra contagio dello sbadiglio e empatia. Ad esempo, il contagio inizia a manifestarsi a 4-5 anni di età, quando i bambini sviluppano la capacità di identificare, in modo corretto, le emozioni altrui . Inoltre, il contagio è ridotto o assente in soggetti che presentano disturbi legati all’empatia, come gli autistici ed è positivamente legato ai punteggi soggettivi di empatia basati su test di tipo psicologico.
Infine, le aree del cervello legate alla sfera emotiva si sovrappongono, in parte, con quelle coinvolte nella risposta allo sbadiglio, con un possibile coinvolgimento dei neuroni specchio.
Al di là dell'uomo, il contagio dello sbadiglio, con possibili implicazioni empatiche, è stato finora dimostrato negli scimpanzè  e nei babbuini gelada . La presenza di contagio tra uomo e cane domestico, considerato capace di un legame empatico con gli umani, è stata ipotizzata, ma i risulati sono controversi 

                                                                                                 Fonti: (Varie)