Le parolacce possono essere formule magiche. Almeno contro il dolore. Lo dimostra una ricerca della Keelès School of Psychology britannica secondo cui le imprecazioni abbassano sensibilmente la soglia del dolore. Ma solo se non si è abitati ad usarle sempre: in quel caso, perdono il loro effetto magico ed il dolore si fa sentire del tutto. Richard Stephens, il ricercatore che ha condotto lo studio, ha chiesto ad alcuni volontari di mettere le mani in un secchio pieno di acqua ghiacciata. Quelli abituati ad imprecare soltanto qualche volta al giorno potevano resistere, grazie ad un profuso utilizzo di parolacce, per molto tempo in più rispetto a chi aveva confessato di imprecare per almeno 60 volte ogni giorno. Per questi ultimi, usare o meno le parolacce non ha fatto alcuna differenza nel tempo che hanno resistito con le mani dentro al secchio. Il meccanismo, sostiene Stephens, è molto semplice: la parolaccia stimola un responso emotivo che ha sua volta provoca una cosidetta «analgesia indotta da stress», insieme ad un aumento dell'adrenalina. Chi impreca di abitudine non ha più questo responso emotivo e così la parolaccia perde la sua magica funzione 'analgesicà. Chi invece impreca con più parsimonia, ha ancora questo responso emotivo, che può dunque rivelarsi utile in situazioni di dolore. «Sarebbe stupido consigliare di imprecare nell'ambito della sanità pubblica - ha dichiarato Stephens - ma le parolacce sembrano attivare parti del cervello associate di più alle emozioni. Nel contesto del dolore, imprecare sembra avere la funzione di semplice amministratore delle proprie emozioni. Ora ci piacerebbe poter esplorare se le parolacce hanno un effetto benefico anche in altri contesti». Secondo precedenti studi, in Gran Bretagna le parolacce rappresentano tra lo 0,5 e lo 0,7% di tutte le parole pronunciate in un giorno dal cittadino medio. Da un sondaggio condotto nel 2006 è emerso che il 36% dei dirigenti del Regno accettano le parolacce come parte della vita lavorativa, a meno che si tatti di imprecazioni discriminatorie.
(Fonti: www.leggo.it)
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