ROMA - Tra studenti e laureati il numero dei ragazzi che dal 2003 hanno investito il loro futuro negli studi di scienze motorie, ha toccato le 50.000 unità: in Italia si contano 23 facoltà sparse in modo omogeneo lungo tutto il paese e a Roma sorge l'ateneo del Foro Italico, forse la più prestigiosa e rappresentativa università di settore, erede dell'Isef, passata attraverso i burocratici cambiamenti dell'ex IUSM (Istituto Universitario di Scienze Motorie) e oggi a tutti gli effetti quarta università della città. E in giorni bollenti di contestazioni studentesche alla riforma Gelmini, in un momento in cui l'incrocio tra chi studia e chi cerca lavoro finisce sempre più spesso sotto la voce "disoccupazione", era fisiologico che la stessa base degli studenti di scienze motorie finisse per alzare la voce, nel tentativo di far capire il kafkiano stato in cui si trova oggi lo studente che ha scelto un simile indirizzo.
A Roma l'Università del Foro Italico presenta un esame d'ammissione che ogni anno superano in 460, il 15% al termine del triennio viene ammesso ai successivi due anni di specialistica (divisa tra attività motoria preventiva, scienza e tecnologia dello sport e management sportivo). Cinque anni tra libri e palestra e poi il buio. L'interrogativo, al di là di ogni slogan urlato in piazza è "Ora cosa faccio?". "In Italia - provano a spiegare Eugenio Pistone, Diego Pera e Marco Infusino - i tre rappresentanti che oggi danno voce agli studenti dell'Università "Foro Italico", il problema principale è di riconoscibilità. Le Scienze Motorie finiscono spesso per ritrovarsi schiacciate tra medicina e fisioterapia. Tra malattia e riabilitazione. Lo spazio proprio per la rieducazione, per quella zona grigia che in Italia scivola sotto la voce prevenzione, non ha una sua materiale collocazione nel mondo del lavoro Italiano".
Preoccupazione, rabbia e parole scelte con attenzione, per far sì che i concetti non si trasformino in semplice contestazione del sistema universitario, ma in un passe-partout sul futuro. I ragazzi parlano in una stanza esposta al sole, si affaccia sul ponte che ogni domenica porta i tifosi verso le partite dello sport più ricco del mondo. Lo stadio di Roma e Lazio è a una manciata di metri, ma quella è una disciplina che raramente incrocia i percorsi degli studenti di Scienze Motorie. Il caso più clamoroso è stato quello di Walter Di Salvo, studente di Scienze Motorie negli anni Novanta, poi preparatore atletico della Lazio, quindi nello staff del Manchester United prima e del Real Madrid poi. Un fenomeno isolato. I ragazzi quando lo si nomina appaiono sconfortati, sembrano considerarlo un esempio di successo irripetibile. Ma la sua storia incarna più di ogni altra il significato che in molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, si dà a questa categoria di laureati. Negli Usa, chiudere con successo la lunga sessione di studi in scienze motorie, significa affacciarsi nel mondo del lavoro con una professionalità che affianca immediatamente l'ex studente al medico neolaureato.
"L'Ateneo - racconta ancora Eugenio Pistone - ha lavorato su di noi per regalarci conoscenze e competenze, per far sì che una volta usciti dall'Università, non si abbia solo un pezzo di carta, ma un marchio di garanzia di ciò che sappiamo offrire. Il contrasto con il mondo del lavoro è però violento. Frustrante. Spesso basta un brevetto sportivo per vedere equiparato un laureato con cinque anni di corsi sulle spalle e un ragazzo che ha passato qualche mese in una palestra con un marchio federale". "Per non parlare aggiunge Diego Pera - degli attriti sempre più evidenti tra coloro che si immettono nel mondo del lavoro in qualità di fisioterapisti e i ragazzi che come noi escono da scienze motorie e di fatto non sono assolutamente autorizzati a lavorare mettendo le mani su un eventuale paziente, reduce da un intervento chirurgico".
Le discussioni che hanno infiammato l'animo degli studenti nell'ultimo anno finiscono per infrangersi nel caso delle scienze motorie, sulla percezione parziale che in genere si ha di questa facoltà: "Per gli Italiani - prova a spiegare Marco Infusino - le Scienze Motorie sono propedeutiche per accedere a un eventuale posto da insegnante di Educazione Fisica. Lo scarto decisivo tra Isef e Università è stato compiuto sul piano effettivo, burocratico, ma è come se il messaggio non fosse passato. Per uscire dall'equivoco servirebbe una legge precisa che ristabilisca i confini di appartenenza del mondo del lavoro applicato alla laurea in scienze motorie".
Dall'istruttore della palestra di quartiere, al personal trainer, passando per i preparatori atletici dei club che lo sport lo esportano per professione a livello internazionale, fino alle sale di riabilitazione del dopo infortunio, il laureato in scienze motorie segue un tortuoso percorso trasversale che subisce costantemente i colpi di categorie più piccole e spesso lontane dal contesto universitario. "Quello proposto dagli studenti - sottolinea il professor Fabio Pigozzi, prorettore vicario dell'ateneo Foro Italico e presidente della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport - è un problema concreto, che ha radici lontane. Già sul finire degli anni Ottanta, la contrazione demografica ha sempre più ridotto le possibilità di assunzione nella scuola, naturale sbocco occupazionale per i diplomati Isef, il cui titolo aveva fino ad allora rappresentato garanzia di impiego come docenti di educazione fisica". Professione che oggi di fatto esiste solo sulla carta. Le ore di educazione fisica certe partono dalla scuola media e i posti a disposizione sono di fatto saturi per i prossimi dieci o vent'anni. "La successiva riforma - spiega ancora il professor Pigozzi -, che ha portato una decina di anni fa all'introduzione anche in Italia della laurea in scienze motorie, ha ampliato il profilo culturale e professionale, in linea con i mutamenti culturali, sociosanitari e del mercato, e con quanto si era verificato nel resto d'Europa da più di mezzo secolo. Tuttavia, mentre altrove, anche per il maggior tempo trascorso, la figura del laureato in scienze motorie è ampiamente riconosciuta e apprezzata, questo in Italia stenta ad avvenire". E la facoltà si trasforma in ponte verso una disoccupazione per laureati specializzati.
A Roma l'Università del Foro Italico presenta un esame d'ammissione che ogni anno superano in 460, il 15% al termine del triennio viene ammesso ai successivi due anni di specialistica (divisa tra attività motoria preventiva, scienza e tecnologia dello sport e management sportivo). Cinque anni tra libri e palestra e poi il buio. L'interrogativo, al di là di ogni slogan urlato in piazza è "Ora cosa faccio?". "In Italia - provano a spiegare Eugenio Pistone, Diego Pera e Marco Infusino - i tre rappresentanti che oggi danno voce agli studenti dell'Università "Foro Italico", il problema principale è di riconoscibilità. Le Scienze Motorie finiscono spesso per ritrovarsi schiacciate tra medicina e fisioterapia. Tra malattia e riabilitazione. Lo spazio proprio per la rieducazione, per quella zona grigia che in Italia scivola sotto la voce prevenzione, non ha una sua materiale collocazione nel mondo del lavoro Italiano".
Preoccupazione, rabbia e parole scelte con attenzione, per far sì che i concetti non si trasformino in semplice contestazione del sistema universitario, ma in un passe-partout sul futuro. I ragazzi parlano in una stanza esposta al sole, si affaccia sul ponte che ogni domenica porta i tifosi verso le partite dello sport più ricco del mondo. Lo stadio di Roma e Lazio è a una manciata di metri, ma quella è una disciplina che raramente incrocia i percorsi degli studenti di Scienze Motorie. Il caso più clamoroso è stato quello di Walter Di Salvo, studente di Scienze Motorie negli anni Novanta, poi preparatore atletico della Lazio, quindi nello staff del Manchester United prima e del Real Madrid poi. Un fenomeno isolato. I ragazzi quando lo si nomina appaiono sconfortati, sembrano considerarlo un esempio di successo irripetibile. Ma la sua storia incarna più di ogni altra il significato che in molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, si dà a questa categoria di laureati. Negli Usa, chiudere con successo la lunga sessione di studi in scienze motorie, significa affacciarsi nel mondo del lavoro con una professionalità che affianca immediatamente l'ex studente al medico neolaureato.
"L'Ateneo - racconta ancora Eugenio Pistone - ha lavorato su di noi per regalarci conoscenze e competenze, per far sì che una volta usciti dall'Università, non si abbia solo un pezzo di carta, ma un marchio di garanzia di ciò che sappiamo offrire. Il contrasto con il mondo del lavoro è però violento. Frustrante. Spesso basta un brevetto sportivo per vedere equiparato un laureato con cinque anni di corsi sulle spalle e un ragazzo che ha passato qualche mese in una palestra con un marchio federale". "Per non parlare aggiunge Diego Pera - degli attriti sempre più evidenti tra coloro che si immettono nel mondo del lavoro in qualità di fisioterapisti e i ragazzi che come noi escono da scienze motorie e di fatto non sono assolutamente autorizzati a lavorare mettendo le mani su un eventuale paziente, reduce da un intervento chirurgico".
Le discussioni che hanno infiammato l'animo degli studenti nell'ultimo anno finiscono per infrangersi nel caso delle scienze motorie, sulla percezione parziale che in genere si ha di questa facoltà: "Per gli Italiani - prova a spiegare Marco Infusino - le Scienze Motorie sono propedeutiche per accedere a un eventuale posto da insegnante di Educazione Fisica. Lo scarto decisivo tra Isef e Università è stato compiuto sul piano effettivo, burocratico, ma è come se il messaggio non fosse passato. Per uscire dall'equivoco servirebbe una legge precisa che ristabilisca i confini di appartenenza del mondo del lavoro applicato alla laurea in scienze motorie".
Dall'istruttore della palestra di quartiere, al personal trainer, passando per i preparatori atletici dei club che lo sport lo esportano per professione a livello internazionale, fino alle sale di riabilitazione del dopo infortunio, il laureato in scienze motorie segue un tortuoso percorso trasversale che subisce costantemente i colpi di categorie più piccole e spesso lontane dal contesto universitario. "Quello proposto dagli studenti - sottolinea il professor Fabio Pigozzi, prorettore vicario dell'ateneo Foro Italico e presidente della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport - è un problema concreto, che ha radici lontane. Già sul finire degli anni Ottanta, la contrazione demografica ha sempre più ridotto le possibilità di assunzione nella scuola, naturale sbocco occupazionale per i diplomati Isef, il cui titolo aveva fino ad allora rappresentato garanzia di impiego come docenti di educazione fisica". Professione che oggi di fatto esiste solo sulla carta. Le ore di educazione fisica certe partono dalla scuola media e i posti a disposizione sono di fatto saturi per i prossimi dieci o vent'anni. "La successiva riforma - spiega ancora il professor Pigozzi -, che ha portato una decina di anni fa all'introduzione anche in Italia della laurea in scienze motorie, ha ampliato il profilo culturale e professionale, in linea con i mutamenti culturali, sociosanitari e del mercato, e con quanto si era verificato nel resto d'Europa da più di mezzo secolo. Tuttavia, mentre altrove, anche per il maggior tempo trascorso, la figura del laureato in scienze motorie è ampiamente riconosciuta e apprezzata, questo in Italia stenta ad avvenire". E la facoltà si trasforma in ponte verso una disoccupazione per laureati specializzati.
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