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Un batterio responsabile della paratubercolosi nei ruminanti, malattia gastrointestinale cronica che causa scarsa produzione di latte, dimagrimento degli animali e morte, potrebbe essere coinvolto nello sviluppo di due malattie autoimmuni dell’uomo: il diabete mellito e la sclerosi multipla. Uno studio italiano appena pubblicato sulla rivista PLoS One, ha scoperto l’associazione che ha implicazioni interessanti al fine di limitare l’incidenza di queste malattie.
Intervista all’autore principale dello studio, Leonardo Sechi, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Sassari.
Che cos’è il Map, Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis?
Un batterio che causa la paratubercolosi nei ruminanti. L’animale si infetta sin da piccolo, attraverso acqua o colostro della madre contaminato, raramente addirittura in utero. La malattia resta però a lungo silente e si sviluppa solo a distanza di qualche anno.
In che consiste la paratubercolosi bovina?
E’ molto simile a una malattia intestinale cronica dell’uomo, il morbo di Crohn, e già nel 2001 avevamo identificato questo batterio nei granulomi delle biopsie intestinali dei pazienti con morbo di Crohn (che causa un ispessimento della parte intestinale che porta con sé vari sintomi tra cui diarree croniche o, al contrario occlusioni intestinali). Lavori in tutto il mondo riportano questa associazione tra micobatterio e morbo di Crohn, pur non essendoci conferma di un rapporto diretto di causa-effetto. Si presume che il decosro nell’uomo sia simile a quello che avviene nell’animale e che quindi le persone si infettino da giovani e il batterio resti silente per diversi anni. Questo rende più difficile risalire alle cause della malattia.
Come vi è venuto in mente che potesse esserci un’associazione tra il batterio, la sclerosi e il diabete?
In Sardegna abbiamo due picchi di incidenza di malattie autoimmuni, più alti al mondo insieme a paesi nordici: diabete di tipo 1 e sclerosi multipla. Per entrambi c’è una forte componente genetica, ben conosciuta. Ma per entrambe si presume che esista un fattore ambientale che scateni la malattia, che però non è stato identificato. Abbiamo valutato il fatto che in base ai dati disponibili, la diffusione della paratubercolosi in Italia riguarda il 40 per cento degli allevamenti in Veneto (la Regione di cui si hanno dati certi) mentre sulla base di test a campione si valuta che in Sardegna sia infettato da questo batterio quasi il 60 per cento degli allevamenti ovini e bovini. Teniamo presente che in Sardegna ci sono quasi tre milioni di pecore per 1,8 milioni di abitanti.
Come è possibile che sia così diffuso e perché non si fa niente per eradicarlo?
La paratubercolosi bovina non è considerata una zoonosi, cioè una malattia trasmissibile dagli animali all’uomo. Il che ne aumenta la diffusione, dato che il danno economico dovuto alla minore produzione di latte degli animali infetti è comunque inferiore a quello che comporterebbe l’abbattimento degli animali.
Come si comporta il batterio e come arriva a contaminare l’uomo?
Il Map è un batterio intracellulare, si duplica solo nell’ospite ma può persistere nell’ambiente anche per un anno. Arriva all’uomo probabilmente attraverso latte e latticini freschi, ma colleghi della Repubblica Ceca lo hanno trovato anche nelle carni macellate. Si può trovare anche in verdure non lavate bene se sono state concimate da letame infetto. Come per gli animali, anche per l’uomo è probabile che il periodo più suscettibile quello della prima infanzia.
I vostri primi sospetti sono stati sul diabete?
C’è un gradiente nord-sud per la diffusione del diabete mellito e della sclerosi multipla: l’incidenza tocca il massimo nei paesi scandinavi e decresce andando verso sud, a eccezione della Sardegna. A partire dal 2008 nel sangue dei pazienti diabetici sardi abbiamo ricercato il dna di questo batterio e degli anticopri diretti verso protiene specifiche del batterio. La nostra ipotesi è che abbia luogo un processo di mimetismo molecolare: diverse proteine del paratubercolosis sono simili a quelle dell’opsite. Negli individui geneticamente predisposti il sistema immunitario può reagire contro proteine del proprio corpo, scambiandole per quelle del micobatterio, che sono simili. Abbiamo identificato (e sono dati ancora non pubblicati), alcune proteine del micobatterio simili alle proteine espresse nelle cellule beta del pancreas, il che spiegherebbe la reazione autoimmune specifica verso queste cellule che producono insulina, in persone con determinati polimorfismi genetici che li pongono a rischio.
Come siete arrivati a sospettare un’associazione con il batterio anche per la sclerosi?
Dato che l’altra malattia autoimmune diffusa in Sardegna era la sclerosi multipla, ci siamo chiesti se questo batterio avesse a che fare anche con essa. Uno studio preliminare del 2008 ha evidenziato che nei pazienti sardi era presente un polimorfismo comune ai pazienti diabetici e a coloro che hanno il morbo di Crohn, in un gene coinvolto nella resistenza ai patogeni intracellulari tra i quali il micobatterio. E’ stato l’indizio che ci ha spinto a proseguire.
E arriviamo così alla ricerca più recente, pubblicata su PLoS One.
In questo studio in collaborazione con Maria Giovanna Marrosu e Eleonora Cocco dell’Università di Cagliari, che si occupano da lungo tempo di sclerosi, siamo andati a cercare il dna del batterio nel sangue dei pazienti sardi con sclerosi, e abbiamo svolto la stessa ricerca in persone sane, per controllo. In circa il 40 per cento dei pazienti con sclerosi il dna del batterio e gli anticorpi contro una proteina del micobatterio erano presenti in maniera statisticamente significativa rispetto ai controlli.
Come siete arrivati a sospettare che il batterio sia il fattore scatenante della malattia autoimmune?
Confrontando il genoma del batterio con il genoma umano, abbiamo identificato una proteina espressa sulla superficie del batterio che ha similitudini con un recettore dei linfociti T. In modelli sperimentali di topo autoimmuni, se si bloccavano questi recettori la progressione della malattia aumentava confermando che, se si ha una risposta autoimmune verso la proteina del batterio, gli anticopri possono determinare una reazione incrociata con i recettori del linfociti scatenando o aumentando la progressione della malattia.
Che impatto ha questa scoperta?
Tutto va confermato con maggior numero di pazienti, coinvolgimento di più centri in diverse regioni del mondo, dove le malattie hanno incidenza maggiore e coordinando la ricerca con un controllo sulla presenza del micobatterio negli allevamenti o nei prodotti alimentari. Siccome la paratubercolosi finora non è stata considerata una malattia trasmissibile all’uomo se ne è tollerata la presenza negli allevamenti. Se fosse confermato il ruolo del batterio di fattore scatenante di queste malattie autoimmuni, in persone geneticamente predisposte, la comunità scientifica dovrebbe riunire gli sforzi per mettere a punto un vaccino per la paratubercolosi, che ancora non c’è.
Come si può impedire la diffusione del batterio in assenza di un vaccino?
Il problema è che negli animali non si può pensare di intervenire con una terapia antibiotica, perché i farmaci andrebbero a finire nel latte e nelle carni. Siccome la contaminazione avviene attraverso le feci, il colostro e il latte materno, allontanare il vitello appena nato dalla mamma positiva e nutrirlo con latte di vacche non infette può essere una pratica che limita il contagio, ma non lo eradica.
(Fonti Varie)
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